Pregare è forse il vertice delle azioni umane, il gesto più umano che possiamo compiere. Ci rivolgiamo infatti a Colui che non è visibile agli occhi, mostrando così che siamo capaci di “andare oltre”, di trascendere cioè la nostra condizione materiale.
Noi però preghiamo spesso d’impulso, nelle emergenze, per chiedere che Dio ci tolga dai pasticci.
Il Signore Gesù invece ci insegna a pregare per restare in relazione con il Padre, per vivere dinnanzi a Lui, legati a Lui. Non sono forse le relazioni di fiducia con chi amiamo e con chi ci ama che ci fanno vivere pienamente?
Se l’intimo e vitale legame con Dio può essere dimenticato e anche rifiutato, noi cristiani invece lo conosciamo grazie a Gesù, il Figlio, che ci svela com’è la paternità di Dio, a volte molto lontana dai nostri copioni umani.
Ci rivolgiamo al Padre perché siamo “adottati” da lui, non siamo abbandonati in un gelido sconfinato buio universo. Siamo voluti e destinati ad essere amati. Così, quando diciamo “padre” comprendiamo chi siamo davvero e veniamo rivelati a noi stessi.
Non basterà quindi volgere gli occhi alla terra, cioè alla materia, per comprendere chi siamo, ma possiamo alzare gli occhi al cielo, al Padre da ringraziare, per desiderare assomigliargli, Lui che fa piovere sui buoni e sui cattivi e dona la sua luce ai giusti e agli ingiusti.
Creati a sua immagine, pregando gli diventiamo più somiglianti, vivendo con giustizia e misericordia verso gli altri e prendendoci cura di questo splendido pianeta che ci ha donato.
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Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”».
(Lc 11,1-13)