Ci lasciano pensosi le parole odierne di Gesù: come si fa a dire che sono beati i poveri, coloro che hanno fame e che piangono, quelli che sono odiati e disprezzati a causa sua?
Eppure, c’è un soffio potente di speranza in quelle quattro antitesi “beati“ e “guai“, un vento che sconvolge il nostro modo di pensare e di agire.
Il Signore Dio guarda a noi e alle nostre vicende faticose. Non gli interessa né privilegia la povertà o tantomeno il dolore, ma guarda e ama la persona dei poveri e degli afflitti. Non siamo abbandonati. Ormai c’è un futuro, c’è un cielo, ci sarà un riscatto.
Anche l’apostolo Paolo grida che con la Pasqua di Cristo c’è la risurrezione. Senza la risurrezione di Cristo siamo perduti. Ma Cristo è risorto dai morti ed è soltanto la primizia. Seguiremo, tutti noi altri.
Se questo è vero, se davvero Dio guarda e sta dalla parte di chi è povero, piange, ha fame ed è disprezzato a causa sua, noi da che parte stiamo? Con chi vogliamo restare: con i benestanti gaudenti indifferenti al male dell’umanità? Cristo li ha già compatiti e avvertiti: guai a voi, perché perderete tutto.
Che fare, allora, noi che siamo ricchi e con problemi normalmente trascurabili rispetto alle reali miserie del mondo?
Diventare fratelli, adesso. Questo dobbiamo desiderare. Non cercare di assomigliare ai gelidi sorridenti manichini del mercato globalizzato, ma accostarci ora alle ferite, alle lacrime, al bisogno dei più fragili, imparare ora a consolare gli afflitti, voler credere ora a Gesù Cristo e alle scelte di Dio.
Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati».
(Lc 6,17.20-26)