Che bella la Pentecoste, e che gioiosa! Essa infatti non commemora un evento passato, per quanto prezioso e decisivo, come la nascita della Chiesa visibile o l’inizio della straordinaria diffusione del Vangelo.
Piuttosto la Pentecoste celebra il Padre di tutti e il Figlio uomo come noi che si manifestano ogni giorno sulla terra, grazie allo Spirito Santo. La nostra Santa Trinità dimora in mezzo a noi!
Lo Spirito Santo, infatti, quando è ricercato e accolto, fa del cuore di ciascuno la dimora di Dio. Solo allora la sua azione fa sì che tutti gli uomini possono partecipare alla salvezza.
La nostra umanità viene trasformata in famiglia dei figli di Dio, già qui sulla terra benché soltanto in embrione, ma che troverà la sua piena realizzazione “in cielo”, cioè oltre la nostra affaticata e ferita storia umana.
Non ci nascondiamo, con realismo, la durezza del presente: tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi, ricorda l’apostolo Paolo, ma sono “le doglie del parto” della nuova umanità se cerchiamo e ci apriamo allo Spirito Santo.
La questione prima, infatti, è di lasciare che “si rinnovino nel cuore dei credenti i prodigi degli inizi”, pregheremo oggi.
Il prodigio grande è farsi abitare da Dio e non soltanto dai propri sentimenti, è lasciare spazio in noi al Padre e al Figlio Gesù e non soltanto alle pressioni del mercato.
Da che cosa la vediamo questa azione dello Spirito? Ad esempio dalla capacità di ascolto dell’altro, sino a farsi ferire da ciò che egli vive.
Questa è una delle parole della lingua dell’amore, parlata a Pentecoste dagli apostoli e compresa “da tutte le nazioni sotto il cielo”.
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Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
(At 2,1-11)